Per capire l’importanza delle acciughe nella cultura alimentare ligure, basta dire che anticamente erano chiamate pan du mâ (pane del mare): tre parole che definiscono al meglio un cibo fondamentale nel patrimonio gastronomico regionale.
Secoli di vita e lavoro hanno insegnato a chi ha abitato questa striscia di terra sul mare che alcuni momenti dell’anno offrono risorse naturali disponibili in grandi quantità. È stato, ed è ancora così, per le acciughe, ciò che certamente ha arricchito la cucina stimolando anche il perfezionamento dei metodi di conservazione.
Pescare grandi quantità di pesce, in passato diventava conveniente solo se si riusciva a commercializzarlo fresco o conservato. Ed è proprio così che le acciughe sono entrate decisamente nella storia gastronomica ligure e delle regioni confinanti, varcando l’Appennino sotto sale per finire soprattutto sui banchetti degli ambulanti e da lì nelle bagne caude dei piemontesi. È una lunga storia, fatta di viaggi a dorso di mulo per le tante vie che attraversavano la Liguria, dal mare ai monti e viceversa, le stesse mulattiere che oggi si possono percorrere per diletto: solchi vitali e pulsanti battuti per secoli da un traffico continuo di uomini e animali con i loro preziosi carichi.
L’acciuga si prepara in mille modi, da marinata a crudo a fritta in olio, passando per infinite altre ricette in cui, soprattutto se salata, diventa condimento per la pasta, fondo per tante preparazioni in casseruola, stuzzicante spuntino – accompagnata da un ricciolo di burro crudo – o ricercato abbinamento con una fettina di tartufo pregiato.
Uno dei piatti più semplici e sani a base di acciughe è il cosiddetto tian de anciue (tegame di acciughe), specialità diffusa un po’ in tutta la Liguria, ma più tipicamente riconducibile alla zona di Vernazza e delle Cinque Terre. Facile da preparare e leggero da gustare, è un piatto molto gradevole e pienamente rappresentativo della cultura gastronomica costiera, poiché le acciughe devono essere freschissime.