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rime testimonianze: gli antichi Liguri Ebbene, sì, gli antichi Liguri conoscevano il vino . Un popolo ancora per molti versi misterioso, assai primitivo. Fiero e combattivo, diviso in tribù perennemente in lotta fra di loro. Un popolo abituato a lottare con la natura e con i popoli nemici, i Romani soprattutto. Le fonti letterarie ci parlano del rapporto tra i Liguri ed il vino. Strabone dice che i Liguri esportavano legname, animali, pelli e miele, vivendo di latte e di una bevanda a base di orzo. Ricevevano in cambio anche il vino italico, molto apprezzato. Ma producevano pure loro il vino, che però Strabone definisce “scarso, resinoso ed aspro”. La produzione di vino è citata anche nella cosiddetta “tavola di Polcevera”, che riguarda questioni confinarie fra tribù liguri, nell’entroterra genovese.
Da chi avevano imparato a coltivare la vite, che ne aveva migliorato le capacità di coltivazione? A proposito è quasi certo il contatto con le colonie greche focesi di Marsiglia e Nizza, presenti fin dal VI secolo a.C..
Le prove: ancora oggi, il palo di sostegno della vigna, in Liguria si dice carassa, termine derivato dal greco di Marsiglia Karax, cioè “palo da vigna”.
Inoltre i Liguri Epanteri Montani, che vivevano le terre ai margini delle Alpi liguri, nel versante piemontese della val Tanaro, producevano già vino, accanto ai cereali.
I conquistatori romani, per piegare queste tribù, avevano dovuto distruggere proprio le loro coltivazioni di cereali e soprattutto le loro vigne. Strabone Era un geografo ed uno storico dell’antica Grecia. Nato ad Amasia nel 63 a.C., abita fin da giovane a Roma. Viaggia molto e scrive 47 libri di geografia parlando di terre e popoli conosciuti. La citazione è in Strabone, IV 6, 2.
La colonizzazione romana: si forma una ‘cultura del vino’ Anche sotto i Romani, la vite è una coltivazione importante nella Liguria di Ponente.
Si impone una colonizzazione a ridosso della costa, ove passava la via Julia Augusta. Le coltivazioni, variate ed estese, fanno capo a fondi rustici, spesso legati ad una villa o ad un insediamento familiare. Davanti alle coste e nei porti liguri transitano regolarmente navi che trasportano vino. Si tratta perlopiù di vino spagnolo, di svariata qualità. Vino spesso destinato anche a Roma, ove si beveva annacquato e mescolato al miele. La nave romana di età repubblicana affondata di fronte ad Albenga era carica di anfore vinarie. E così anche quella trovata nelle acque di Diano Marina. I reperti di entrambi i relitti possono essere visti nei musei di Albenga e di Diano Marina (quest’ultimo di prossimo ordinamento).
Nel Ponente ligure c’era dunque una “cultura del vino”, anche se di provenienza non locale. La colonizzazione romana ha sicuramente rafforzato ed ampliato la produzione della vite anche lungo i pendii e nei fondovalle.
Dopo le invasioni barbariche: i primi documenti Secoli di devastazioni e difficoltà: ma il vino piace, sempre. Si perde molto rispetto all’età romana nella fase delle invasioni barbariche. La popolazione lascia la linea di costa e ritorna ad abitare in luoghi più interni ed elevati. Ma la coltivazione della vite non viene eliminata. Ne favorisce il mantenimento anche il controllo territoriale operato da governi di tradizione latina, come quello bizantino nel VI e VII secolo. Peraltro anche la porzione germanica della popolazione, dai longobardi in avanti, sa apprezzare la preziosa bevanda. Inoltre non va dimenticato il ruolo della diffusione della religione cristiana, che si afferma nel IV secolo. La simbologia legata alla vite ed al vino sono comunque fattori di mantenimento e di cura del patrimonio storico della vigna.
Si ricordano le produzioni scultoree delle botteghe locali altomedievali, riferibili al periodo dell’occupazione longobarda e concentrate nell’ottavo secolo d.C.: il grappolo d’uva è un motivo ricorrente.